Freud e la scoperta dell’inconscio

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L’inconscio per Freud è un nucleo di rappresentanti-rappresentativi delle pulsioni.

La sua dinamica è definita attraverso la tendenza di questi rappresentanti a disinvestire la loro carica libidica sotto forma di compromesso nei confronti della censura.

La clinica psicoanalitica condusse Freud a riconoscere l’esistenza di certi “contenuti”, inaccessibili alla coscienza se non si sollevano certe resistenze. Questi “pensieri” inconsci sono attivi nell’uomo e determinano degli atti sintomatici, noti sotto il nome di formazioni dell’inconscio. Freud postula dunque l’esistenza di un inconscio come “luogo psichico”, che raggruppa rappresentazioni separate per sfaldatura. Egli precisa che questi rappresentanti di pulsioni appartengono all’ordine della rappresentazione, che essi sono “una successione di inscrizioni di segni”, disposti come fantasie e alle quali si fissa la pulsione.

Notiamo che Freud parla parimenti di contenuti inconsci che non sono stati acquisiti per rimozione, cioè per sfaldatura, ma che formano una specie di bagaglio filogenetico.

Sono le “fantasie originarie”, di cui parleremo fra poco. La nozione di inconscio, isolata da Freud, ci appare dunque in stretto rapporto con quella proposta da Lacan.

Questo autore, infatti, insiste proprio sulla natura rappresentativa dei contenuti inconsci e sulla formazione “per sfaldatura” dell’ordine inconscio. Potremmo addirittura vedere delineata in Freud l’idea lacaniana della necessità di un accesso al linguaggio perché ci sia l’inconscio. Per Freud, infatti, la rimozione secondaria come la rimozione primaria, operano su rappresentanti di pulsioni.

Tra il 1915 e il 1924 Sigmund Freud propose per tre volte la propria celebrazione per i secoli a venire, elevando se stesso al livello di Copernico e di Darwin: si considerava alla loro altezza perché, a suo parere, la psicoanalisi era riuscita a dimostrare l’inconsapevolezza della vita psichica e l’importanza della sessualità in tutte le manifestazioni umane, provando in questo modo che l’Io «non è padrone in casa propria». Riteneva di aver inferto al genere umano un’umiliazione psicologica, che accostava all’umiliazione cosmologica, proveniente dal sistema copernicano, e a quella biologica, derivata dalla teoria dell’evoluzione. La «sua» scoperta dell’inconscio aveva la medesima importanza: le prime due erano rivelazioni che avevano tolto alla specie umana rispettivamente la centralità nell’Universo e la peculiarità rispetto agli altri animali; la scoperta che egli si attribuiva aveva a sua volta tolto all’essere umano l’idea di essere padrone in casa propria.1

L’idea che Freud abbia scoperto l’inconscio si è diffusa per decenni, non solo nella cultura popolare, ma anche nella maggior parte di quella specialistica. Eppure, nei secoli passati le persone non erano certo così ingenue come le dipingeva Freud, ed erano al corrente di possedere processi mentali inconsapevoli. Da sempre gli esseri umani sanno che la coscienza e la volontà non sono le sole determinanti dei pensieri e dei comportamenti.

Quale genere di esperienza è quella del soggetto dell’inconscio? Come si è articolata originariamente in Freud questa esperienza? Che tipo di esperienza è l’esperienza freudiana dell’inconscio? Solo se si prova a rispondere a queste domande si può cogliere il senso di quale mutazione antropologica provocherebbe la sua estinzione. Provo allora a rispondere isolando almeno tre caratteristiche essenziali dell’esperienza freudiana dell’inconscio.

Prima caratteristica: l’esperienza dell’inconscio freudiano è innanzitutto un’esperienza di verità. Ma non di una verità impersonale, universale, assoluta, archetipica, collettiva; la verità in gioco nell’esperienza analitica non è la verità trascendentale della filosofia, né la verità priva di contraddizione della logica e nemmeno la verità universale della religione.

Seconda caratteristica dell’esperienza freudiana del soggetto dell’inconscio freudiano: l’esperienza dell’inconscio è un’esperienza della differenza. Cosa significa? L’esperienza dell’inconscio come esperienza della verità mostra come l’incontro con l’inconscio implichi sempre un effetto di riduzione dell’Io, di alterazione, di erosione, di indebolimento della sua funzione di governo verticale della personalità.

Terza caratteristica: l’esperienza dell’inconscio è un’ esperienza del desiderio. Del desiderio, precisa Freud, in quanto “indistruttibile”, ovvero impossibile da redimere, educare, governare, adattare. In questo senso l’indistruttibilità del desiderio evoca un nocciolo singolare che resiste a ogni addomesticamento, a ogni dressage normalizzante di tipo disciplinare. Il movimento del desiderio è un movimento insistente di apertura verso l’Altro. Non bisogna mai ridurre la forza del desiderio inconscio alla manifestazione di una interiorità psicologica.

La grande invenzione di Freud consiste nel porre l’inconscio non come un’antiragione, ma come una ragione che oltrepassa dall’interno la ragione della intenzionalità cosciente. Non si tratta né del culto romantico della tempesta della passione, né di quello misterico dell’ineffabilità. Per Freud l’inconscio si dà solo come esperienza soggettiva: i sogni, i sintomi, gli atti mancati, i lapsus ecc. Ma questa esperienza non è mistica, non è indicibile. L’inconscio freudiano è strutturato come un sapere che la coscienza ignora, o, piuttosto, respinge, rifiuta, scongiura, allontanandolo da se stessa, perché questo sapere può rivelarsi come “troppo” per il soggetto; troppo scabroso, vergognoso, orrendo, malsano. In questo senso l’esperienza soggettiva dell’inconscio implica un incontro con il nostro desiderio che ci costringe a rettificare l’immagine “sociale” di noi stessi.


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